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Barbacarlo. Suggestioni di un pomeriggio autunnale

"Pronto?"
"Barbacarlo? Signor Maga?"
"Sì..."
"Sì, buongiorno, mi chiamo Vanessa Gabelli, la sto chiamando dalla Toscana, sono un sommelier,  un ristoratore, in realtà sono soprattutto un'appassionata di vino e dato che domani sarò dalle sue parti, mi chiedevo, ecco, io mi domandavo se... se a lei facesse piacere e fosse così gentile... perché insomma per me sarebbe un onore conoscerla e poter acquistare qualcuna delle sue bottiglie... e in effetti, mi chiedevo se posso venire a trovarla perché sarebbe una bella occasione e anche un'opportunità e..."
"Sì, va bene."
"Va bene??!? Davvero va bene??! La ringrazio sa, grazie, grazie davvero! allora ci vediamo domani pomeriggio, dovrei arrivare intorno alle 16:00 forse 16:30.... L'indirizzo é questo qui che leggo sulla Guida? via Mazzini a Broni? Ce la trovo a quell'ora?...."
"Sì. Arrivederci."
Clic.
Comincia così. Con la mia logorrea inarrestabile contrapposta al suo dialogare misurato.
Io sono io, cioè nessuno. 
Lui è Lino Maga, una leggenda del vino.
Broni è bagnata "quel giorno" da una pioggia insistente e tenace, avvolta da un grigiore nebbioso che satura l'aria.
Parcheggio l'auto neanche troppo vicino e come al solito sono senza ombrello. 
La via è quella giusta, il numero civico pure, una vecchia insegna sbiadita inquadra la scritta Barbacarlo. Dietro ai vetri del punto vendita si intravedono bottiglie, tante bottiglie.
L'ora è quella stabilita. Io ci sono, ma lui non c'è. 
All'interno tutto è silente, tutto è buio. Si sta facendo buio anche fuori.
Riprendo il telefono in mano e "Sí, pronto Signor Maga? Sono Vanessa Gabelli, si ricorda...l'ho chiamata ieri, sono qua fuori, davanti all'entrata, ma è tutto spento, non c'è nessuno... Forse ho sbagliato... Forse..."
"Le apro."
Pochi secondi e si accendono le lampadine gialle di un vecchio lampadario polveroso all'interno. Sembra tutto un po' impolverato in effetti...
"Prego, si accomodi" eccolo qua, con una sigaretta tra le dita.
"Mi scusi sa, ero in ufficio, sommerso dalla carte. Mi uccideranno le carte, mica queste" e tira sú la mano indicando la sigaretta.
Quello che ricordo del paio di ore successive all'apertura di quella porta è una storia dai contorni sfumati. Forse avrei dovuto registrare la conversazione nata da questo incontro fortunato, come tanti hanno fatto prima di me. Gente seria, preparata. Giornalisti. Professionisti del settore. 
Io sono arrivata qui disorganizzata come sempre, neanche troppo informata sui vini e sul personaggio, avendo letto qualcosa certo, ma senza approfondire troppo, animata dalla convinzione che la cosa più bella di questi eventi sia proprio la sorpresa che nasce dall'incognita priva di preconcetti.
Lino Maga è un uomo ottuagenario, un uomo pieno di silenzi, di sospensioni, circondato dal fumo delle sue MS, capace di una gestualità garbata che la penombra dell'ambiente inquadra in una scenografia quasi amarcord.

Mi parla delle peripezie legali affrontate nel corso di decenni per difendere la sua creatura, il suo Barbacarlo e di come ne sia uscito trionfante, lui semplice contadino (come ama definire se stesso) difronte a ciclopici enti e fondazioni.
Parla degli uomini importanti che hanno tanto amato il suo vino, politici, critici enogastronomici, personalità influenti sotto ogni punto di vista e me li indica nelle fotografie ingiallite. Lo fa con umiltà e incuranza, ma io mi faccio sempre più piccola nella seggiola.
È il suo un monologo teatrale intriso di garbo e di fumo, nel quale entrano spesso in scena i suoi vini, che assaggio di diverse annate senza un ordine apparente - sicuramente non quello che avrei dovuto adottare a rigor di degustazione- ma semplicemente perché quegli anni saltan fuori in maniera anarchica come i suoi ricordi. 
“Assaggi questo. A me mi piace, mi pare di averlo fatto bene. 
Quello dell’anno successivo mica tanto, ma io sono onesto, l’ho scritto in etichetta che quello non è adatto ad essere invecchiato… Del resto mica si può pretendere che i vini vengano bene sempre. Che vengano uguali. La natura è mutevole, come può non esserlo un vino”.
E avanti e indietro da un anno ad un altro, in un bizzarro saltatempo, in una decina, per lo meno, di assaggi di cui, ovviamente non ho neanche scritto un appunto di degustazione, perché oggi è andata così, oggi non sono un sommelier, sono una donna che ascolta un vecchio.
Magari un giorno tornerò in questa terra e farò le cose per bene, come si deve, ma oggi mi faccio sorprendere, mi faccio conquistare da questa vita asmatica. Mi viene da guardare quelle sue mani da viticoltore e mentre lui parla e tace, la mia testa è già altrove.

“Il bosco si era fatto troppo avanti. 
Era inspiegabile come avanzasse tenacemente di anno in anno, uno tsunami di sterpaglie e rovi e intrichi e fogliame e vita verde che non si arrestava, arrestando invece il ciclo vitale delle vigne, che pian pian cedevano il passo a quel mostro vegetale aggrovigliato.
A ben pensarci, lavorare su quei pendii era diventato piuttosto complicato alla sua età e anche i mezzi, e le motivazioni per arrestare l’onda, erano a quel punto entrambi un po’ malconci.
Non che fosse vecchio, neanche si potesse misurare l’età con una questione puramente anagrafica, diciamo piuttosto che era avanzato. 
Aveva fatto qualche passo, avanzando per tanto tempo in quella sua vita semplice da contadino dell’Oltrepò, ma che questo significasse esser vecchi era tutto da vedersi.
Pensò che c’era anche da risolvere la questione della Jeep del figlio, rubata e poi ritrovata con la tappezzeria intrisa di gasolio, probabile bottino di un furto mirato, dove quei figli di una donnina poco perbene, avevano oltretutto lasciato alcuni bossoli di arma da fuoco. 
A nulla erano valse le spiegazioni e le giustificazioni che non fossero cose appartenenti al figlio. 
I carabinieri avevano provveduto al sequestro dell’auto e all’emissione della multa per abbandono di munizioni. Così va la vita.
Non che la perdita, seppure temporanea, di quella carretta sgangherata e inaffidabile fosse poi così drammatica, ma c’era pur da muoversi a piedi per quei terreni ingrati ai reumatismi facendo attenzione a che il buio autunnale non fosse più rapido a venire, delle sue gambe.
Si accese un’altra sigaretta e guardando quelle vigne pensò a quanto fosse stato matto ad aver trascorso buona parte della sua vita a difenderle. Ripensò a tutti i soldi spesi per intraprendere battaglie legali degne di una campagna militare napoleonica. E alle vittorie, le sue.
Perché c’era qualcosa di profondamente giusto lungo le linee di quei filari, una giustizia chiamata dalla terra e sarebbe stata una gran puttanata non aver prestato ascolto a quel richiamo.”*

V.G.

*ogni riferimento a fatti riportati nel brano corsivo è frutto di pura fantasia



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